Il calcio professionistico come cattivo esempio
- alde924
- 26 ago 2017
- Tempo di lettura: 2 min

Il calcio professionistico vive anche grazie ai diritti tv, questo crea un’enorme attenzione mediatica e popolare. Come spesso succede anche in altri ambiti della vita le persone più o meno vicine a questo sport credono di conosce bene ogni singola dinamica portandoli spesso a considerarsi degli esperti.
Troppe volte le famiglie creano situazioni difficili in quanto tendono a considerare questa disciplina come veicolo di futura affermazione del loro “calciatore in erba”, che vedono come un “talento nato”. Durante le partite si scatenano risse familiari, come se davanti a loro giocassero dei professionisti, come se l’unica cosa importante fosse vincere. I parenti dei piccoli giocatori, si alterano, urlano consigli e azioni pesanti nei confronti della squadra avversaria.
I bambini invece che guardano le partite in tv cercano di imitare i propri idoli non distinguendo tra quelli che sono comportamenti corretti e quelli scorretti da non imitare.
Succede così che dirigenti, allenatori e bambini di squadre di calcio non professionistiche credono di vivere un’esperienza da “Serie A”.
Purtroppo il calcio giovanile non professionistico è un mondo totalmente diverso da quello dei “grandi professionisti”, i bambini che fanno parte di queste realtà non vivono solo di calcio, hanno bisogno di crescere e di imparare dinamiche della vita di tutti i giorni, hanno bisogno di essere educati anche attraverso lo sport, ma soprattutto hanno bisogno di divertirsi! Con allenatori che vogliono solo vincere e bambini che vogliono emulare i giocatori famosi, il problema principale del calcio giovanile diventa quindi l'eccessiva competitività. Queste componenti portano il bambino ad avere un’eccessiva ansia dovuta alla paura di sbagliare e di essere ripreso da un allenatore che come obiettivo vede solo la vittoria e non la crescita del giovane calciatore.
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